
Da alcuni mesi mi capitava spesso di svegliarmi di soprassalto, senza respiro, subito dopo aver sognato che stavo precipitando nel vuoto. Aprivo gli occhi stordito, nell’aria incolore che filtrava dalle tende della finestra e che nessun sole riusciva mai a scaldare e accendere, con la vaga impressione di un sottofondo di voci indistinte che si stavano dileguando. Le persone che incontravo per strada o in ufficio mi sembravano allora una schiera di manichini dagli occhi vuoti che mi mettevano addosso una strana inquietudine. Finché una sera, rientrando più tardi dal lavoro, incrociai all’improvviso un mio vecchio vicino di casa schivo e silenzioso, che non mi era capitato di vedere più da un tempo infinito tanto che lo credevo addirittura morto. La camminata nervosa si era trasformata in un faticoso arrancare ma i suoi occhi erano ancora costantemente rivolti verso il basso per poi sollevarsi repentinamente e fulminarti con uno sguardo freddo e ostile. In preda a una curiosità inspiegabile, decisi di seguirlo fino a un torrente che lambisce la nostra cittadina per poi continuare a scorrere verso il mare. Mentre si allontanava verso casa, mi accostai alla riva dove con un sussulto riconobbi subito, nel buio gorgogliare dell’acqua, il mormorio indistinto che mi perseguitava nei mei bruschi risvegli. Mille ombre mostruose sembravano nuotare nell’abisso e il loro sussurro mi raccontava la storia di un ragazzo che rideva dell’aria grigia e dimessa della gente intorno a lui mentre sognava avventure per mari inesplorati e tesori da scoprire. Ma gli anni erano passati senza che riuscisse mai a saltare su un treno che lo conducesse fuori dal suo paese e allora, per la prima volta, capii che i sogni di gloria erano stati soltanto un alibi in mancanza del coraggio di vivere il presente, di affrontare la pesantezza e l’asprezza dei giorni. E adesso il sorriso beffardo dei manichini dagli occhi vuoti mi diceva lo vedi che sei diventato uno di noi. Proprio come lo sguardo maligno del mio vicino di casa mi aveva sempre suggerito che non ci sono alternative, che la strada della mediocrità è già tracciata per ciascuno di noi. Ma forse ero ancora in tempo per stroncare questo maleficio. Cominciai così a seguire l’uomo accorgendomi che ogni sera, nel rientrare a casa, non riusciva a fare a meno di dare un’occhiata furtiva al torrente. Arrancando per il sentiero, tracciava una larga curva finché, guardandosi intorno per essere sicuro che nessuno notasse questa sua debolezza, virava decisamente verso un punto preciso del parapetto di legno per guardare in faccia le ombre. Ne era attratto suo malgrado, come in un vortice di perdizione. Decisi allora di segare il segmento su cui era solito appoggiarsi, lo rimisi poi al suo posto incastrandolo leggermente e predisposi uno scivoloso tappeto di foglie. Quel giorno non mi recai a lavoro, ma attesi nascosto dietro un gruppo di alberi. Tramontato il sole, la figura del vecchio si ingrandiva lentamente lungo la strada mentre sopraggiungeva a passo apparentemente tranquillo. Lo osservavo col fiato sospeso mentre continuava ad avanzare senza dare il minimo segnale di cedimento… ma ecco che rallenta, si guarda intorno con un cenno appena percettibile del capo e di colpo muove verso il torrente… continua ad accelerare come in preda a uno spasmo, perdendo quasi contatto col terreno fino a scivolare sul tappeto di foglie per andare infine a schiantarsi contro il parapetto. Ma questa volta non ha modo di arrestarsi col cuore in gola, no, il torrente lo risucchia mentre scivola giù stringendo tra le mani la stecca di legno! Corsi verso il precipizio appena in tempo per vedere il gorgo dell’acqua che lo inghiottiva ma a quel punto devo essermi sporto troppo perché le ombre mi hanno afferrato. Così, senza neppure accorgermene, sono caduto nel vuoto e questa volta non mi sono risvegliato nel mio letto.
Antonio Zifaro